Lettera aperta del direttivo al Foro Contadino dopo l’assemblea di Pompei

Pompei 13/14 gennaio 2006
Assemblea del Foro Contadino Altragricoltura

Il Foro Contadino Altragricoltura è stato impegnato fra l’inizio del 2006 e il marzo 2007 in una discussione interna che ha visto diversi momenti assembleari, una forte ed a tratti dura discussione sulla mission e la natura dell’iniziativa e dell’organizzazione.

Qui sono raccolti i tre documenti fondamentali adottati all’assemblea di Pompei del 13/14 gennaio 2006 partecipata da numerose delegazioni provenienti da diverse regioni italiane: la risoluzione finale e il documento con cui il direttivo fa il punto sull’esito dell’assemblea e lancia un appello al movimento contadino italiano.

Seminario preparatorio a Roma 12 dicembre 2005
Invito/Appello a partecipare alla II Assemblea

Risoluzione finale dell’assemblea del Foro Contadino Altragricoltura del 14 gennaio 2006
Lettera al movimento contadino del direttivo del Foro Contadino Altragricoltura dopo l’assemblea di Pompei

 

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 I NOSTRI COMPITI

LETTERA APERTA Del direttivo del FCA eletto all’assemblea di Pompei del gennaio 2006

AL FORO CONTADINO ALTRAGRICOLTURA

Care e cari, vi scriviamo all’indomani della prime due riunioni del direttivo del FCA, in cui abbiamo potuto confrontarci fra di noi sul mandato che abbiamo ricevuto dall’assemblea, su come ci riproponiamo di assolvere ai compiti delicati di questa fase e su quale è la proposta che avanziamo a tutto il movimento contadino.

Ci rivolgiamo con questa lettera aperta a voi che avete fin qui fatto il Foro Contadino Altragricoltura, a quanti stiamo incontrando nel fare il movimento contadino, a quanti guardano a noi  ed al nostro percorso con speranza, simpatia ed attenzione. Ci rivolgiamo a voi in maniera unitaria, chi vi scrive è tutto il direttivo nazionale eletto a Pompei. Abbiamo scelto di darci il tempo interno di discussione nel direttivo prima di uscire con queste proposte, proprio per farlo insieme, discutendo largamente e approfonditamente fra di noi ed offrendovi il frutto di una riflessione unitaria.

Abbiamo appena tenuto un passaggio delicato e decisivo nella storia del nostro percorso, incontrandoci nella nostra assemblea nazionale a Pompei.

È stata un’assemblea importante, vera, con una larga partecipazione contadina, se non ancora rappresentativa di tutte le realtà che abbiamo incontrato, sicuramente partecipata da contadine e contadini motivati in rappresentanza di realtà contadine vere (delegazioni da 18 diverse regioni).

Un’assemblea in cui ci siamo confrontati in una larga discussione sul passato e sul nostro futuro con modalità democratiche: 22 interventi nella prima sessione plenaria, 12 interventi nell’assemblea conclusiva, tre commissioni di lavoro che si sono protratte fino alle 2 di notte, tre gruppi di lavoro tematici.

Un’assemblea convocata per discutere e decidere del futuro e che ha deciso discutendo, emendando e  votando tre documenti delle commissioni, una prima proposta di agenda, organismi cui, finalmente, è affidato un mandato collettivo condiviso su come lavorare per il futuro ed a cosa lavorare.

Esprimiamo, in definitiva, un giudizio largamente positivo sul passaggio che abbiamo consumato nell’Assemblea di Pompei anche se ancora insufficiente per rispondere alle aspettative che, dall’interno e dall’esterno si stanno addensando su di noi.

L’Assemblea è venuta dopo un lungo periodo di crisi nella storia del FCA durato almeno due anni. Dopo una prima fase seguita a Genova in cui abbiamo dispiegato una diffusa iniziativa percepita positivamente dai contadini che incontravamo e dai nostri alleati, la crisi che abbiamo vissuto si è consumata sulla incapacità di dare un senso unitario, chiaro e condiviso al nostro agire. Ci siamo mossi per cercare di dare risposte ai bisogni di un’altra agricoltura che sale forte dalla società e dal mondo contadino senza modelli di riferimento consolidati e, quindi, sperimentando molto, spesso in maniera contraddittoria e aprendo molte vie al nostro cammino. Un cammino che, fino a Pompei, non ha saputo fare sintesi, trovare risposte condivise. Una discussione che si riproduceva infinita senza avere la forza di rischiare dei punti fermi in qualche punto. Si è mostrato, alla fine, tutto il limite della nostra incapacità di fare sintesi e del nostro metodo di lavoro: una discussione che si è avvitata attorno a se stessa, in maniera autoreferente, con personalismi dannosi e offensivi, forzature continue nella impossibilità di arrivare a qualsiasi punto di accordo condiviso. Era  chiaro che dovevamo affrontare i nodi e interrompere l’inutile gioco al massacro che correva il rischio di prodursi all’interno e misurarsi con le domande che ci venivano dal nostro agire e dalle nostre speranze con la responsabilità di assumere delle scelte per tenere aperta la via verso la costruzione di un forte movimento contadino per un’altra agricoltura.

Abbiamo conquistato, con l’assemblea di Pompei, una svolta: abbiamo deciso di avviare il cammino verso l’organizzazione autonoma contadina per la sovranità alimentare cominciando a mettere qualche punto fermo nel nostro confronto e sulle nostre prospettive.

Sia chiaro: abbiamo messo un punto sul nostro metodo di lavoro, abbiamo capito come fra di noi ci sia una larga condivisione di critica e di analisi e, persino, sulla prospettiva della sovranità alimentare ma ora ci aspetta il lavoro più delicato, quello della proposta e dei contenuti su cui costruire l’organizzazione.

Per fare questo il direttivo eletto in assemblea propone con questa lettera aperta tre punti di riflessione concreta su cui ripartire e una ipotesi di percorso raccogliendo, direttamente, il mandato assembleare.

Ve li proponiamo chiedendovi di intervenire nel dibattito (vi preghiamo, peraltro, di discuterne cambiando il metodo di confronto interno e, dunque, vi rimandiamo alla proposta di riorganizzazione della comunicazione che vi invieremo nei prossimi giorni con un documento ad hoc).

 

1)      Siamo in una fase di passaggio: costruire le condizioni per darci l’organizzazione.

      Il mandato del direttivo.

Del giudizio positivo su Pompei abbiamo detto specificandone, tuttavia, il carattere di insufficienza rispetto ai bisogni. Abbiamo conquistato, in definitiva, la fiducia per ripartire ma, ora, dobbiamo misurarci con le proposte di contenuto, di obiettivi, organizzative e di metodo di lavoro. Compito delicato,difficile, che richiede un forte consenso sul percorso da fare e che va conquistato passo dopo passo nella fiducia e nella responsabilità. Per questo il direttivo nazionale eletto, sta lavorando al primo passo definito in assemblea: convocare un nuovo appuntamento assembleare per presentare un piano di riordino e ristrutturazione delle risorse organizzative ed economiche interne e per presentare il piano di lavoro per l’anno di fronte a noi. Terremo una due giorni a Firenze intorno fra il 31 marzo e il 1 Aprile. Un giorno sarà dedicato ad iniziative e confronti di merito (ciclo, corto, soccorso contadino, marcia, ecc..) ed in un altro terremo l’ASSEMBLEA STRAORDINARIA DEL FCA per modificare lo statuto ed approvare il piano di lavoro per l’anno di fronte a noi. A quell’Assemblea chiediamo che si rifaccia la discussione sugli organismi dirigenti e si rinnovi, con il voto, il direttivo. Sia chiaro: non è e non vuole essere un gesto drammatico e non c’è, necessariamente, un giudizio negativo sul modo come è stato eletto il direttivo nell’Assemblea di Pompei. Certo, abbiamo gestito il passaggio di discussione sugli organismi in modo affrettato ma come avrebbe potuto essere diversamente? Abbiamo, giustamente, deciso di discutere prima di giudizi, contenuti, mandati politici, metodo di lavoro, risorse economiche scegliendo la strada di decidere sui nomi solo dopo aver fatto chiarezza. Poco tempo, dunque, e nessuna proposta preconfezionata. La verità è che, anche se avessimo avuto una intera giornata per discutere solo di nomi, avremmo probabilmente raggiunto gli stessi risultati visto che la discussione sui nomi era comunque immatura senza aver messo alla prova le persone ed aver approfondito il progetto. Ad ogni modo, i compiti che ci aspettano, meritano ben altra convinzione, ben altra discussione e un consenso convinto che non lasci alcun dubbio sul mandato che viene dato agli eletti.  Dunque un passaggio, questo, da consolidare, rafforzare, legittimare largamente, aggiustare. Per questo il direttivo eletto (che è in carica a tutti gli effetti e che assume fino in fondo il mandato statutario e sostanziale che gli compete) interpreta il suo ruolo nel primo passo da compiere: produrre una proposta e sottoporla al consenso degli iscritti in modo da rafforzare tutto il FCA e la sua coesione interna.

In definitiva crediamo che la fase fino a Firenze ci serva per riorganizzare gli strumenti di lavoro collettivi e trasversali e le proposte di contenuto generali per passare, poi, a dispiegare nei territori la nostra riorganizzazione a livello locale.

Vorremmo arrivare all’appuntamento di Firenze con un percorso concreto e inclusivo che definisca con chiarezza la proposta di riorganizzazione e, per questo, vi rimandiamo al documento allegato sul percorso fino al 1 Aprile.

 

2)      Stiamo lavorando all’autonomia dell’organizzazione contadina per la Sovranità Alimentare.

 

L’Assemblea di Pompei ci fa fare un passo avanti nella discussione sul nostro profilo, fissando i nuovi termini del confronto da fare.

a-      Stiamo lavorando a costruire una organizzazione autonoma per la Sovranità Alimentare. Oggi non sappiamo ancora dire come sarà, se sarà un sindacato, un movimento o altro. Quello che è certo è che sarà una organizzazione autonoma ed alternativa a quelle esistenti. Alternativa, sicuramente, a CIA, Coldiretti e Confagricoltura ( ma non solo). Il giudizio sull’azione e il ruolo delle organizzazioni contadine storiche è dato: duro e senza appelli per il ruolo di complicità e sostegno che continuano ad avere con il modello neoliberista competitivo. Non si tratta più, come abbiamo fatto per tutti questi anni di attraversare le organizzazioni per verificare  l’obiettivo di realizzare un cambiamento politico e culturale dell’esistente; c’è ancora da fare in questa direzione ma il tempo si sta esaurendo e noi dobbiamo assumere la responsabilità di lavorare all’obiettivo di costruire il luogo della nuova rappresentanza.

b-     La natura della nuova rappresentanza sarà nuova nei contenuti (la proposta della Sovranità Alimentare) e nel metodo. Non è detto che saremo sindacato perché non è detto che il modello sindacale che ci viene dal secolo scorso risponda ai nostri obiettivi. E poi: chi rappresentare? Se la Sovranità Alimentare è, insieme, il diritto contadino a produrre e cittadino a consumare, perché continuare a ragionare in termini corporativi di interessi separati? E, se li teniamo insieme, come garantiamo, al tempo stesso, interessi contraddittori come quello di soggetti sociali diversi (agricoltori, braccianti, consumatori,…)? Insomma: dovremo innovare nei contenuti ma anche nelle forme e nel metodo, aprendo, in definitiva, una grande discussione su chi è, oggi, il soggetto sociale per il cambiamento che rivendica la Sovranità Alimentare e che ci candidiamo a rappresentare.

c-      Chi costituirà la nuova organizzazione di rappresentanza? Speriamo non solo noi (sarebbe una sconfitta): lavoriamo a riunificate le forze. Non si tratta, in definitiva, di una semplice trasformazione riorganizzativa del FCA ma di dare vita a un percorso unitario chiamando i tanti che in questo momento non si riconoscono nelle organizzazioni esistenti a lavorare per quest’obiettivo. Quello che è certo è che questo passaggio lo conquisteremo, se ce la faremo, con le lotte e le mobilitazioni. Per questo il FCA deve essere sempre di più il luogo in cui si riconosce chi si sta mobilitando. Il luogo, cioè, insieme della proposta teorica e politica ma, anche, delle pratiche, degli spazi sociali per le esperienze contadine che decidono di assumere l’obiettivo della riunificazione come condizione per costruire l’alternativa. Altra cosa di cui possiamo essere sicuri è che solo un Foro Contadino Altragricoltura, forte e largamente rappresentativo dei contadini potrà avere l’autorevolezza di chiamare gli altri all’unità: quanto più saremo forti e credibili, tanto più saremo convincenti.

 

3)      I tempi della nostra azione.

Sulla questione dei tempi del nostro agire abbiamo spesso discusso fra di noi e, per un movimento contadino autorganizzato e di base, è, effettivamente una delle questioni più delicate su cui verificare la riuscita o meno dell’impresa che si propone.

La discussione che abbiamo fatto, fin’ora, ha messo in evidenza due problemi diversi che abbiamo incontrato e che, troppo spesso, non avendoli saputi relazionare adeguatamente, ci hanno portato in conflitto interno.

a-      Un primo problema è quello del rapporto fra  tempi della partecipazione democratica e tempi del lavoro contadino e della gestione dell’azienda. Di come, cioè, garantiamo il massimo del coinvolgimento e dell’inclusione nelle iniziative e, soprattutto, nella formulazione delle decisioni di chi lavora in campagna e, dunque, è vincolato ai suoi tempi.

b-     Un secondo è quello della “politica” intesa come l’insieme delle dinamiche che realizzano i processi economici e sociali che incidono sulla vita di chi vive nelle campagne. Normalmente i tempi della politica sono percepiti come molto più veloci.

 

In realtà, è una questione di rapporti di forza in campo e, se sei forte, la tua capacità di incidere sulla politica e di riportare i suoi tempi ai tuoi bisogni è molto più alta. Evidentemente, senza una nostra organizzazione e senza una nostra forza, percepiremo sempre la politica come velocissima perché ci sembrerà, sempre, di non poterla “rallentare” ai nostri bisogni. Se, per esempio, continueremo ad essere divisi, pochi e non organizzati, sarà facile, per i nostri avversari, imporci gli OGM ed a noi sembrerà un dover correre in mille direzioni, con le poche forze che abbiamo, per denunciare quel campo piantato ad OGM, difendere legalmente quel contadino o bloccare una delle tante navi che ci passano davanti ai nostri occhi. Lo sforzo ci sembrerà inumano e, avendo perso, dovremo tornare ai tempi della nostra solitaria esperienza di lavoro nelle campagne, per difendere quello che, ormai, non sarà più difendibile. Se saremo forti, organizzati, tanti e con tanti alleati saranno i nostri avversari a subire i nostri tempi senza che noi gli corriamo dietro.

Dunque organizzarsi per imporre i nostri tempi ma, anche, organizzarsi per includere nei processi decisionali. Dare vita ad un’organizzazione significa definire e praticare l’inclusione e le regole per la delega. Non tutti dovranno e potranno fare tutto, ognuno dovrà e potrà contribuire in modo da tenere, rispettare e valorizzare i tempi di lavoro della terra con quelli della partecipazione. Certo, dovremo fissare un metodo ed un percorso per le deleghe; non saremo i primi a doverlo fare e potremo farlo riempendoli dei nostri contenuti sociali (rotazione? Alternanza? Vincolo collettivo nella assunzione delle decisioni? Ecc..)

Soprattutto dobbiamo imparare a relazionarci alla politica scegliendo cosa pretendere e come ottenerlo.

In particolare dobbiamo imparare a valutare con attenzione la fase che stiamo attraversando per poi decidere come modulare i tempi della nostra iniziativa.

Siamo nel mezzo di una crisi che si è aperta nella seconda metà degli anni novanta e che ha conosciuto una pesantissima accelerazione con la Riforma Fishler. Il passaggio dell’agricoltura italiana alla omologazione completa al modello competitivo neoliberista è stato fortemente voluto dalle scelte di politica agricola europea, nazionale e dalle organizzazioni professionali tutte. All’appuntamento con la liberalizzazione dei mercati l’agricoltura arriva, per questo, senza difese. Le posizioni che le organizzazioni sindacali e professionali storiche assumono di volta in volta nei confronti dell’esplodere delle crisi è pura ipocrisia tattica essendone stati le principali corresponsabili. I contadini italiani sono disarmati più dei loro colleghi di sistemi agricoli “competitori storici” come la Spagna e la Francia dove la politica ha saputo creare per tempo alcuni freni alla fase che stava avanzando per riequilibrare  i danni che ne sarebbero derivati. Questa fase ha per posta la chiusura delle aziende contadine, la trasformazione in imprese competitive di chi sopravvive, la trasformazione dell’Italia in una grande piattaforma commerciale gestita da multinazionali e speculatori commerciali che diventeranno proprietari dei marchi famosi del “made in Italy” senza produrre più in Italia.

Questa fase non rimarrà aperta in eterno ed, entro al massimo in due anni, si deciderà la sorte della maggioranza delle nostre aziende.

Per questo bisogna intervenire ora, riaggregando le forze, riunificandole attorno alla proposta della Sovranità Alimentare e intervenendo nei tempi della politica per modificare i rapporti di forza a nostro vantaggio.

Il problema non è decidere “se” fare o non fare questo passaggio e misurarci con questo terreno: il problema è che questa è la sfida che i nostri avversari ci hanno posto e, dunque a noi spetta decidere solo “se accettarla o meno”. Se noi non dovessimo raccoglierla (noi del FCA) nessuno in Italia sarebbe in grado di farlo e la partita sarebbe già segnata. 

 

Su questa valutazione chiediamo al FCA ed a tutto il movimento contadino di scendere in campo per decidere e scegliere il nostro destino.

 

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