Le ragioni di una campagna contro i trattati di Libero scambio
Fin dall’inizio del percorso che ha dato vita ad Altragricoltura, nella seconda metà degli anni ’90, il movimento ha posto grande attenzione alla dimensione internazionale dei nuovi scenari in cui si andava evolvendo la dimensione dell’agricoltura.
I grandi processi di trasformazione che hanno investito le campagne di tutto il mondo dagli anni ’70 e che sono diventati noti e conosciuti come “globalizzazione” hanno avuto un impatto fortissimo anche nelle nostre aree rurali,
sulla modalità in cui si produce, trasforma, distribuisce e consuma il cibo fino a cambiare profondamente lo stesso senso della nostra agricoltura e il suo ruolo nella società.
Una trasformazione verso la “modernità” che ha progressivamente svuotato di significato e valore la funzione produttiva delle nostre campagne trasformando l’Europa da luogo della produzione del cibo per i propri cittadini a grande mercato di consumo di prodotti agroalimentari e mettendo seriamente a rischio la condizione di gran parte delle nostre aree rurali.
Una trasformazione che non ha avuto nulla di naturale ma che, al contrario, si è fondata su scelte politiche e sociali sempre meno determinate dai Governi Nazionali (dunque sempre meno “controllabili” dai cittadini) e sempre più assunte nelle stanze riservate in cui si compiono le decisioni del Fondo Monetario Internazionale (FMI), della Banca Mondiale (BM) o della Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC).
Gli stessi stati nazionali, ridotti al ruolo di semplici esecutori di regole che essi stessi non hanno più la sovranità di determinare, sono sempre più chiamati ad applicare “scelte economiche e finanziarie” che non hanno semplici profili tecnici ma che producendo effetti decisivi sulla vita delle persone, assumono un profondo significato sociale e politico.
Il rapporto con il cibo, il territorio, l’agricoltura è stato profondamente modificato da queste scelte che, nei fatti, hanno accompagnato il processo di concentrazione della ricchezza che si produce dal lavoro della terra sempre più nelle mani della grande distribuzione e della finanza; processo che, nella realtà, viene imposto ai popoli e che si fonda sul primato dell’impresa, sull’ideologia della competizione delle merci, sul primato dell’accumulazione finanziaria e speculativa.
Di questo processo complesso ed articolato che viene avanti, l’Europa è parte e protagonista attiva partecipando a pieno della competizione interna a questo modello ed assume il ruolo di protagonista di primo piano nel definire e rafforzare il quadro delle scelte che spingono il mondo verso il predominio della competizione finanziaria e commerciale spesso utilizzando la leva delle politiche e delle iniziative sull’agroalimentare.
Dopo aver contribuito in maniera decisiva a destabilizzare vaste aree del pianeta per l’uso che ha fatto degli incentivi spacciati come “all’agricoltura” ma di cui in realtà hanno fatto incetta le grandi concentrazioni agroalimentari che hanno creato dumping e insicurezza sociale interna ed esterna, l’Europa ha giocato un ruolo di primo piano nel destabilizzare l’area mediterranea sul piano economico e sociale grazie proprio agli accordi commerciali voluti dagli Accordi Bilaterali prima e dal processo (incompiuto) della costruzione dell’Area di Libero Scambio voluta dal processo EuroMed.
Un processo, quello che ha visto attiva l’Europa nel Mediterraneo con gli accordi bilaterali di libero scambio di cui l’Italia è stata protagonsita nei decenni scorsi, che, nei fatti, ha trasformato le economie agrarie dei Paesi del Nord Africa e del Est del Mediterraneo, da luoghi della produzione agricola orientata al consumo interno a quello della produzione per l’export di materie prime alimentari in cambio di prodotti trasformati e che, nei fatti, ha prodotto la scomparsa dell’agricoltura famigliare in quei luoghi, per sostituirla con l’impresa agricola industriale capitalista.
Un processo che ha espropriato terre, trasformato economie agrarie secolari, espulso contadini ed allevatori dalle terre fertili del Nord Africa (che alla fine paga il prezzo dell’impoverimento di larghe fasce popolari legate all’agricoltura famigliare ma anche quello terribile di essere diventato completamente dipendente dal sistema delle esportazioni verso i nostri mercati e di essersi impoverito in termini assoluti indebitandosi nei nostri confronti) ma che produce gravissimi guasti nei Paesi del Sud Europa ed in particolare nelle campagne italiane.
Questo sistema, in definitiva ha creato dumping economico e sociale (crollo dei prezzi al campo per i produttori italiani ed Europei per l’arrivo di materie prime a basso costo) e sociale per la pressione generale sugli standard del lavoro e della tutela ambientale messi a dura prova dalla ricerca del massimo sfruttamento delle risorse che il modello introduce.
Grazie ai trattati bilaterali di libero scambio l’Europa ha, nei fatti, contribuito in maniera decisiva a destabilizzare l’area Mediterranea sul piano sociale ed economico prima ancora che sul piano politico e militare, consentendo grandissimi vantaggi alle forze della speculazione che hanno saputo approfittarne e facendone pagare i costi ai cittadini europei ed extraeuropei.
Oggi la nuova frontiera degli apologeti del libero scambio vede ancora una volta l’Europa protagonista di una nuova frontiera: quella della definizione di due accordi di libero scambio che, se dovessero passare, segnerebbero un ulteriore gravissimo arretramento delle condizioni di vita dei suoi cittadini: il TTIP (accordo di libero scambio fra Eu ed USA) e il CETA (accordo di libero scambio con il Canada).
Il 14 giugno 2013 la Commissione europea ha ricevuto un mandato da tutti gli Stati membri a negoziare con gli Stati Uniti la zona di libero scambio transatlantico (TTIP) con l’obiettivo di creare un vasto mercato di libero scambio tra l’Unione europea e gli Stati Uniti, che va al di là degli stessi accordi dell’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio).
Obiettivo principale del Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (in inglese Transatlantic Trade and Investment Partnership, TTIP) è lo smantellamento di quello che resta delle tariffe doganali, anche nel settore agricolo, ma, soprattutto, l’eliminazione delle “barriere non tariffarie”. Con la motivazione che dovrebbe aumentare la concorrenza e impedire la delocalizzazione delle attività, in realtà porterebbe a un livellamento verso il basso delle regole sociali, economiche, sanitarie, culturali e ambientali, sia in Europa che negli Stati Uniti. Così, per esempio, la produzione di latte e carne con l’uso di ormoni, l’allevamento del pollame con clorurati e l’uso dei semi OGM (che negli Stati Uniti si commercializzano), potrebbero diventare regole per il mercato europeo.
Il progetto, inoltre, potrebbe introdurre un meccanismo di arbitrato privato “Impresa-Stato”, che dovrebbe sostituire i tribunali esistenti. Gli investitori privati potrebbero quindi aggirare le leggi e le decisioni che li ostacolino, arrivando ad imporre agli Stati i loro interessi nonostante le leggi adottate democraticamente. Potrebbero, per esempio, ottenere forti indennizzi economici ricorrendo contro le nostre norme sulle eticattature, i disciplinari delle Produzioni Tipiche, il divieto di usare gli OGM con la motivazione che queste norme lederebbero i loro interessi a fare affari. L’accordo prevede, infatti, l’introduzione di nuovo progetto di misure in materia di brevetti, diritti d’autore, lprotezione dei dati, indicazioni geografiche e le altre forme di cosiddetta “proprietà intellettuale”, reintroducendo il defunto Accordo Commerciale Anti-Contraffazione) già rigettato grazie ad una forte mobilitazione dei cittadini europei
Discretamente, lobbies potenti europee e transatlantiche stanno già manovrando per sviluppare con la Commissione europea, l’unica autorità competente per i negoziati a nome di tutti gli Stati membri, i termini di un accordo entro il 2015. Al contrario , i cittadini, i movimenti sociali, i deputati non hanno accesso alle informazioni sui negoziati in corso. Il segreto dei testi limita anche la capacità dei paesi in via di sviluppo di intervenire quando un tale accordo avrebbe conseguenze giuridiche e sociali di tutto il mondo.
In definitiva questo accordo sarebbe solo un modo per le multinazionali di travolgere tutte le decisioni pubbliche che costituiscono ostacoli alla loro strategia di espansione sul mercato. Al di la degli aspetti geopolitici che l’applicazione di questo accordo prevede, se si dovesse realizzare segnerebbe sicuramente un grande pericolo per le condizioni di vita dei nostri cittadini, per l’ambiente e per l’uso delle risorse naturali e un fortissimo restringimento del diritto dei popoli di determinare liberamente e democraticamente scelte fondamentali.
Le multinazionali e le lobbies finanziarie stanno perseguendo speditamente l’obiettivo di chiudere l’accordo nei tempi più celeri con l’UE (che in ragione dei trattati costitutivi è il soggetto titolato a chiudere e definire i trattati transnazionali a nome di tutti i suoi stati membri) ma la pressione e la mobilitazione popolare può incidere e cambiare il corso delle scelte come è già avvenuto per altri progetti simili.
Noi siamo profondamente convinti che le nostre aree rurali, fortemente colpite sul piano economico, sociale ed ambientale dall’impatto con la trasformazione della globalizzazione e della liberalizzazione dei mercati conoscerebbe una ulteriore nuova fase di impoverimento e di svuotamento delle funzioni e della capacità produttiva e, dunque, di fare reddito.
Del resto per poter continuare a fare gli agricoltori e gli allevatori occorre una funzione di cui siamo sempre più espropriati: il diritto a scegliere liberamente cosa, come e per chi produrre e, questo, è in definitiva una scelta individuale ma anche di forte dimensione sociale. Scelte di cui sono espropriati gli agricoltori ridotti a “lavoratori per conto” delle filiere industriali senza poter in realtà di determinare le scelte fondamentali che per generazioni avevano potuto compiere ma di cui sono sempre più privati i cittadini e la nostra stessa società svuotata del diritto sovrano, per esempio, a poter esprimere con il voto la scelta di vietare gli OGM o di avere etichette trasparenti.
Per questo siamo convinti che serva una forte iniziativa collettiva e una forte mobilitazione popolare che come Altragricoltura siamo impegnati a sollecitare e costruire insieme a quanti, sia nelle campagne che fuori, condividono la pericolosità di un mondo svuotato di diritti sostituiti da regole commerciali.
Nelle pagine dedicate del Portale di Altragricoltura raccogliamo i documenti, le info, le proposte, l’agenda di iniziative della Campagna “IL MONDO NON E’ UNA MERCE”, ponendo particolare attenzione sia alla iniziativa storica sul Mediterraneo che a quella contro il TTIP e il CETA.