Il grano non si vende, si svende. Mercato globale, catastrofe locale: la resa amara del grano calabrese. Parla un commerciante di grano
Riportiamo la testimonianza di un commerciante di grano Calabrese.
Preferisco l’anonimato perché questa terra è difficile, raccontare la verità e andare contro il sistema può espormi a pericoli, lavoro nel commercio del grano da anni. Vi racconto quello che vedo ogni giorno perché la verità è semplice e amara: il mercato strozza chi semina.
Il 24 settembre la Borsa Merci di Foggia ha quotato il grano duro fino a 277–282 euro a tonnellata, cioè 27,7–28,2 euro al quintale. La quotazione in borsa non è neanche soddisfacente, è già di per sé disastrosa; eppure la realtà nei campi è ancora più terribile: quella cifra resta teorica e non si traduce nella somma che finisce nelle tasche degli agricoltori, i quali ricevono al massi-mo 23–24 €/q. La differenza non è un errore di calcolo: sono costi di trasporto, oneri logistici e quel margine che il circuito commerciale trattiene prima che il grano entri nel ciclo della macinazione. In pratica, la quotazione di borsa rimane un numero astratto mentre chi ha seminato paga il conto.
Non si tratta solo di un’oscillazione stagionale: c’è un meccanismo strutturale dietro il crollo dei prezzi. Il nostro mercato è invaso da flussi esteri a basso prezzo. Ci arriva grano dal Kazakistan; arrivano carreggi di prodotto che spesso passano per triangolazioni commerciali e così diventa difficile capire cosa stiamo veramente comprando. A questo si sommano grandi disponibilità provenienti da Paesi con aumentata produzione in Europa e dall’emergere di forniture da aree lontane. Anche il Brasile ha un ruolo: la decisione di ridurre o togliere dazi e vincoli alle esportazioni ha immesso sul mercato globale quantità che comprimono i prezzi. Il risultato è che quantità massicce, spesso vendute a prezzi stracciati, schiacciano il valore del nostro prodotto locale.
Vi dico una cosa chiara: molti agricoltori stanno pensando seriamente di non seminare l’anno prossimo piuttosto che correre il rischio di fallire. Non è una reazione esagerata, è una valutazione economica. Con costi di produzione in aumento, ricevere 23–24 €/q significa lavorare in perdita o al limite della sopravvivenza. Ho visto famiglie contare i bilanci, buste paga rinviate, piani di investimento cancellati. La semina non è più un atto di fiducia, è un rischio finanziario.
Le proteste annunciate per il 26 settembre? Le guardo con sospetto. Non nego il valore della mobilitazione sociale, ma così come sono impostate rischiano di essere “solo di facciata e propaganda”. Arrivano do-po che il grano è già stato venduto, dopo che i contratti sono stati stipulati e i prezzi fissati. Gridare in piazza il 26 non cambia ciò che è stato concordato il 10 o il 15. Le manifestazioni devono avere obiettivi concreti: non servono selfie in piazza se non si chiede e non si ottiene tracciabilità reale delle importazioni, controlli stringenti sulle triangolazioni, misure anti dumping e l’introduzione di un prezzo minimo garantito al produttore che copra i costi di produzione.
Se vogliamo che la protesta abbia senso, essa deve spingere per regole chiare e per strumenti immediati: obbligo di etichettatura dell’origine a ogni passaggio della filiera, controlli doganali efficaci sulle importazioni sospette, pene severe per pratiche commerciali sleali e sostegni temporanei ai produttori finché il mercato non si riequilibri. Senza queste misure, le piazze resteranno belle fotografie mentre la mietitura del prossimo anno resta a rischio.
Io resto qui, ad acquistare e vendere grano, a pagare camion, assicurazioni e bollette, e a vedere il lavoro dei contadini svalutato. Se vogliamo che la terra continui a dare pane e lavoro, dobbiamo smettere con i gesti simbolici e iniziare a cambiare le regole del mercato. Chi semina merita di sapere dove finisce il suo lavoro e quanto vale davvero; non slogan, ma fatti.







1 commento
Sempre così, chi produce deve smettere di seminare.
Indignarsi, protestare non basta più.
Hanno approvato una legge sulla sicurezza , chi va oltre la protesta fatta di urli e slogan viene arrestato.
Solo i produttori non basta a cambiare lo stato di fatto.