Mozzarella di Bufala Campana, crolla il prezzo del latte idoneo alla Dop. Intervista a Noviello

Riportiamo l’intervista ad Adriano Noviello di Dario Del Bene
per Agronotizie (che ringraziamo) vedi l’originale

E molti caseifici non starebbero ritirando parte del latte perché ne hanno già troppo nei congelatori. Sullo sfondo la crisi della Mozzarella Dop, ma gli allevatori sono già sul piede di guerra e chiedono un’operazione verità al Masaf

La Mozzarella di Bufala Campana è un gigante da circa 1.400 allevamenti che producono latte idoneo alla produzione della Dop, oltre 150 allevatori e trasformatori fanno parte del Consorzio di Tutela, per un giro d’affari di 1,2 miliardi di euro stimati da Svimez nel 2019. Eppure per essere già ottobre c’è troppa disponibilità di latte bufalino nell’area Dop della Mozzarella di Bufala Campana, un territorio vastissimo che corre da Tor Bufalotta (Roma) fino a Sapri, ai confini lucani della Campania, e con diramazioni in basso Molise e alta Puglia.

Tanto è vero che il 50% dei caseifici della Dop, che in molti casi hanno i frigoriferi già pieni di latte congelato, non starebbero più comprando la preziosa materia prima fresca, che durante l’estate – secondo la rilevazione di settembre 2024 di Ismea – passava di mano a non meno di 1,75 euro al litro, pari a oltre 1,80 euro al chilogrammo sulla piazza di Caserta.

I rinnovi contrattuali ora prospettati – e solo agli allevatori che destagionalizzano i parti – sono valutati intorno ad 1,55 euro al chilogrammo di latte di bufala idoneo alla Dop, una situazione che rischia di azzerare il reddito delle imprese zootecniche, che prospettano un costo di produzione del latte di bufala intorno ad 1,45 euro al chilogrammo.

Sullo sfondo si staglia la crisi produttiva e dell’export della Mozzarella di Bufala Campana Dop fotografata da Nomisma a giugno scorso: nel 2023 le esportazioni risentono di un calo dettato dallo scenario internazionale, attestandosi al 38,3% delle vendite totali (erano il 40,1% nel 2022). Per quanto riguarda la produzione, se nel 2023 è rimasta sostanzialmente invariata rispetto al 2022 (55.588 tonnellate di mozzarella Dop, -0,4%), nel primo trimestre 2024 si assiste a una diminuzione del 3,8%, dovuta alle difficoltà dei mercati e all’inflazione, “che seppur in calo – avverte Nomisma – sta pesando sulle tasche degli italiani e si riflette negli acquisti”.

Si registra, invece, nello stesso primo trimestre 2024, un aumento del 3,3% di latte idoneo alla Dop, con il rischio di uno squilibrio della filiera, come segnalato nel report. E risulta in aumento l’utilizzo di latte bufalino idoneo alla Dop per l’ottenimento di altri prodotti caseari di oltre l’8% tra 2023 e 2024, almeno stando ai dati aggiornati a luglio scorso diffusi dal Clale basati su quanto riportato dall’ente terzo di certificazione della Dop.

Ma gli allevatori non ci stanno e si preparano ad una mobilitazione in grande stile: vogliono sapere quanta mozzarella di latte di bufala, la non Dop, si è prodotta, ma anche quanta mozzarella mista. Prodotti che non valorizzano il latte bufalino e che si possono produrre anche con il latte congelato. E che forse sono alla base della crisi: perché con l’impennata dei costi energetici il latte congelato costa ai caseifici molto di più di quello fresco. Gli allevatori, infine, chiederanno anche una revisione della tracciabilità.

Abbiamo sentito Adriano Noviello, allevatore bufalino nel casertano e presidente dell’Associazione Tutela della Bufala Mediterranea Italiana, membro direttivo Altragricoltura Nord Campania, tra gli animatori della protesta contro il Piano di Eradicazione delle Zoonosi che ha portato alla nomina del commissario nazionale.

Cosa sta succedendo di preciso?
“I contratti per la fornitura di latte sono in scadenza, siamo ad ottobre e andiamo verso l’inverno, quando si produce e si vende meno Mozzarella di Bufala Campana Dop, ma circa il 50% dei caseifici non sta rinnovando i contratti sulla campagna invernale a tutti gli allevatori: questi trasformatori si limitano a offrire un prezzo di euro 1,55 al chilogrammo solo agli allevamenti che destagionalizzano i parti, in modo da fornire la maggior parte del latte tra febbraio e settembre, in coincidenza con il picco di domanda e produzione di Mozzarella di Bufala Campana. Gli allevatori che non applicano la destagionalizzazione – spesso non per loro demerito – si stanno invece ritrovando a non poter vendere il proprio latte. La dimensione del fenomeno non è piccola, parliamo del 20% delle stalle bufaline a Salerno e del 15% a Caserta che in questo momento non conferiscono latte. In provincia di Latina è meno rilevante il problema dei mancati rinnovi contrattuali, ma resta sul tappeto quello del prezzo troppo basso”.

Due cose, perché il prezzo di 1,55 euro al chilogrammo sarebbe troppo basso e per quale motivo molti allevatori non riescono a destagionalizzare?
“Semplici domande per semplici risposte: come Associazione Tutela Bufala Mediterranea Italiana abbiamo sviluppato un osservatorio sulle dinamiche economiche dell’allevamento bufalino e abbiamo calcolato il costo medio complessivo di un chilogrammo di latte bufalino, comprensivo degli ammortamenti, dei costi fissi e variabili ed altri oneri, tenendo presente anche che allevamenti di diverse dimensioni hanno economie di scala diverse. Tale costo medio di produzione è pari a 1,45 euro al chilo di latte, con un margine di appena 10 centesimi che non consente alle aziende di sopravvivere, programmando investimenti e assegnando un utile d’impresa. Per quanto riguarda la mancata destagionalizzazione dei parti: è una conseguenza della situazione sanitaria degli allevamenti”.

Quale è il legame tra mancate destagionalizzazioni e il fenomeno della brucellosi e della tubercolosi?
“Il conto è presto fatto: solo in provincia di Caserta tra 400 e 500 allevamenti hanno subìto le restrizioni dovute alle infezioni di Brc e Tbc, che incidono sulla destagionalizzazione, a causa degli abbattimenti dei tori e delle problematiche legate alla fecondazione artificiale: se si abbattono anche solo in parte gli animali, salta tutta la programmazione. Non solo, destagionalizzare i parti, per fare in modo che il latte sia prodotto prevalentemente nel periodo di 180 giorni tra febbraio e settembre, abbassa la produttività della mandria, poiché capita che per mantenere gli obiettivi di produzione molte bufale non possano essere fecondate quando sono fertili e quindi saltano un periodo di lattazione. Inoltre, quando gli abbattimenti di mandrie nel casertano hanno azzerato la produzione di molti allevamenti locali, i caseifici hanno spinto sugli allevatori degli areali di Salerno e Latina a produrre più latte: in questo caso l’abbandono della destagionalizzazione è stato una scelta. Questa situazione, associata negli scorsi anni a bassi costi dell’energia elettrica, ha favorito il congelamento di molto latte”.

Costi che però nel frattempo sono aumentati, cosa è cambiato?

“Semplice: molti caseifici non hanno puntato sul latte congelato: oggi sono quelli che si trovano nelle condizioni migliori, ma lavorando solo latte fresco hanno assorbito e assorbono una quota minore di materia prima. I caseifici che dal periodo covid-19 in poi hanno congelato latte hanno subìto da allora un incremento dei costi energetici del 350% e in media scongelare ed utilizzare un chilo di latte congelato gli costa oltre 2 euro, un costo esorbitante rispetto ai prodotti che possono realizzare: mozzarella mista o mozzarella di latte di bufala non Dop”.

È giusto affermare che oggi i caseifici Dop che hanno molto latte congelato hanno ragionevolmente molta fretta di smaltirlo in qualche modo, per evitare di aggravare i costi di alimentazione dei frigoriferi, e che questa manovra frena gli acquisti di latte fresco invernale?
“Si tratta di quanto probabilmente stiamo vivendo, ma c’è di più: stanno tentando di recuperare i sovracosti del congelamento sul minor prezzo da corrispondere agli allevatori destagionalizzati. Ma c’è anche un altro elemento”.

Quale?
“I quantitativi di latte congelato detenuti probabilmente sono troppo elevati per essere stati prodotti solo in area Dop, dove abbiamo solo tra i 340mila e i 380 mila capi bufalini dei 430mila presenti in tutta Italia: abbiamo il forte sospetto che molto latte proveniente da fuori area Dop abbia anche aggravato il problema. Sia chiaro: il problema della mancata destagionalizzazione dei parti, seguito agli effetti nefasti delle misure sanitarie negli allevamenti, ha avuto il suo ruolo, ma non è il solo ed unico problema”.

Noviello, Altragricoltura si prepara ad una mobilitazione e ad una forte azione sindacale a difesa degli allevatori bufalini di tutta l’area Dop, cosa chiederete?
“Chiederemo al Ministero dell’Agricoltura che sia fatta piena luce su quanto sta avvenendo in queste ore. Posto che i dati della Mozzarella di Bufala Campana Dop sono noti, vogliamo che siano resi pubblici i dati della tracciabilità del latte bufalino nel suo complesso, chiederemo inoltre di sapere quanta mozzarella di latte di bufala non Dop è stata prodotta e soprattutto quanta mozzarella mista: su questi prodotti, che oggi sono solo marginalmente normati, occorre mettere mano ad una regolamentazione, con etichettatura e rintracciabilità del latte di bufala, per poter avere una contabilità attendibile di tutta la filiera del latte di bufala in Italia. Ma c’è di più: occorre mettere mano ad una riforma della rintracciabilità che in tutta evidenza non ha funzionato. Infine, va dato un aiuto ai caseifici che lavorano solo latte di bufala Dop e non altro latte e serve anche un aiuto agli allevatori per tornare a destagionalizzare i parti”

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