Con una vulgata semplicistica e interessata, condizionata dagli interessi di negazionisti e industriali di vario genere, le mobilitazioni di questi giorni degli agricoltori in Italia sono dipinte come “nogreen”.
Non neghiamo che vi siano posizioni che chiedono “più chimica e meno vincoli ambientali” ma sottolineiamo come queste posizioni siano utili al modello dell’agricoltura industriale e che, al contrario, fra gli agricoltori si va estendendo la consapevolezza di come le prime vittime del cambio climatico siano proprio gli agricoltori, gli allevatori e i pescatori.
Fra bombe d’acqua e bolle di calore, siccità. alluvioni, dissesto idrogeologico e innalzamento generale delle temperature, coltivare la terra, allevare e pescare è diventato sempre più difficile e le stagioni agrarie sono sempre più a rischio.
Certo, il risanamento ambientale non può avere il costo della scomparsa delle attività produttive di territorio, le piccole e medie aziende che vanno messe in condizione di investire riconvertendosi e reimpostando la propria attività in funzione delle nuove sfide che ci vengono da un cambiamento climatico i cui principali responsabili sono proprio nell’industria, nelle sue emissioni, nell’inquinamento da chimica, nel modello del fossile e nei consumi insostenibili cui le città in cui si va concentrando la popolazione scarica sull’ambiente.
Pensiamo, al contrario, che i modelli contadini diffusi, di un’agricoltura sana e in equilibrio con l’ambiente della piccola e media impresa, una riorientamento delle tecnologie, un utilizzo coerente e la riconversione del parco macchine, può vedere gli agricoltori e gli allevatori come principali protagonisti della riconversione ambientale, del contrasto ai processi dei cambiamenti climatici, alla rinaturalizzazione dei territori.
Perché questo accada bisogna restituire dignità a chi lavora la terra e nel mare, liberandoli dalla schiavitù che li vuole “lavoratori per conto, subalterni di scelte che non ne valorizzano la responsabilità e li condannano alla precarietà e alla crisi economica” e attori protagonisti di scelte consapevoli.
Insomma, non è vero che si combatte il cambiamento climatico chiudendo le aziende ma diffondendo e sostenendo i modelli dell’agricoltura di piccola e media scala e di territorio impostati sull’agroecologia.
Il documento che pubblichiamo è stato prodotto dalla Rete di Via Campesina e sottoscritto da molti attori sociali ed è per noi un utile riferimento per aprire il dibattito su come l’agricoltura e la pesca possono partecipare delle azioni di risanamento ambientale e climatico e di tutela territoriale contrastando la desertificazione sociale, economica e ambientale.
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