Dalla Cina all’Egitto: l’Import di pomodoro a basso costo cambia faccia

Calo del -76% da Pechino, Boom del +495% dal Cairo che schiaccia i produttori italiani.

L’Italia è la patria del pomodoro, ma la nostra eccellenza agricola è oggi ostaggio di un commercio speculativo spietato. Dalla fertile Pianura Padana alla generosa Sicilia, gli agricoltori italiani producono una materia prima che è il cuore pulsante del Made in Italy alimentare. Eppure, la realtà sul campo è un dramma silenzioso: i prezzi riconosciuti ai produttori crollano, i costi di produzione esplodono e la filiera industriale, con i suoi margini miliardari, prospera sulla pelle di chi lavora la terra.

Per anni, la Cina è stata l’allarme rosso, il “problema” dell’import a basso costo e delle inchieste internazionali su lavoro sfruttato e opacità nella tracciabilità. Nel 2025, i numeri sembrano raccontare una finta vittoria: si registra un clamoroso calo del 76% delle importazioni cinesi. Ma è una tregua illusoria. Nello stesso periodo, l’import di concentrato di pomodoro dall’Egitto è schizzato a un vertiginoso +495%. L’Egitto non è un’alternativa di ripiego, è un sostituto strutturato, efficiente e capace di inondare il nostro mercato con volumi enormi e a costi insostenibili per le nostre aziende. Nessuno sembra accorgersene, ma il concorrente più pericoloso per la nostra produzione nazionale è già dentro i nostri mercati, operando nell’ombra delle polemiche che hanno colpito Pechino. L’industria italiana sta costruendo la sua dipendenza da un Paese terzo, garantendosi concentrato a basso costo che funge da perfetto grimaldello per comprimere i prezzi interni e minacciare la sopravvivenza dei nostri agricoltori.

L’industria celebra l’export record e sventola la bandiera del Made in Italy, ma i numeri raccontano una verità scomoda e inaccettabile: la produzione nazionale copre solo una parte della domanda reale della filiera; l’industria importa volumi enormi da Paesi terzi a prezzi che sono ampiamente inferiori ai costi reali di produzione italiani; e il presunto “valore aggiunto” generato sul mercato estero – l’immagine, l’etichetta, la storia – non torna ai campi italiani, ma alimenta esclusivamente i margini industriali e le strategie commerciali globali. Il Made in Italy che viene esportato poggia sul sacrificio, sul rischio economico e sul lavoro non retribuito degli agricoltori. Il risultato è un’agricoltura che produce eccellenza ma genera margini nulli. Contratti di filiera che non coprono i costi di base e agricoltori costretti a una scelta drammatica: produrre in perdita o chiudere l’azienda, desertificando intere aree produttive.

Altragricoltura lo ribadisce con forza: senza chi produce la materia prima, l’intera filiera alimentare è una opzione illusoria. È un principio elementare, ma sistematicamente ignorato. Il commercio internazionale del pomodoro è degenerato in un gioco speculativo che usa l’immagine del Tricolore per aumentare il prezzo di vendita finale, mantenendo al contempo il prezzo della materia prima italiana ai minimi storici, grazie alla leva delle importazioni egiziane. Ogni etichetta tricolore che finisce sulle tavole del mondo racconta una storia solo parzialmente vera, una storia di qualità sostenuta e tradita da importazioni straniere che schiacciano il valore della produzione dei nostri agricoltori.

È ora di agire. Riconoscere il valore degli agricoltori non è un favore, è l’unica via per difendere l’economia e l’identità del Paese. Non basta un prezzo al chilo. Servono garanzie al rispetto, alla tutela e al giusto riconoscimento per il ruolo di custodi del paesaggio, della qualità e dell’immagine del Made in Italy.

La sovranità alimentare non è retorica, non è una bandiera da sventolare: è la protezione concreta di chi coltiva la terra, di chi lavora nei campi e di chi, ogni giorno, garantisce il futuro di un settore simbolo della nostra nazione oltre che dei cittadini fruitori che hanno diritto di sapere, di conoscere e di essere pienamente consapevoli di cosa mangiano.
Se non invertiamo la rotta, la conseguenza è chiara e spietata. Senza gli agricoltori italiani, il vero Made in Italy è destinato a scomparire, lasciando il posto a una vuota etichetta di facciata che nasconde un “Made in Egitto” (o chiunque offra il prezzo più basso).

Così perderemo i nostri primati, uno dopo l’altro, svendendo la nostra eccellenza agricola sull’altare della speculazione internazionale

1 commento

    • Antonio De Simone il 11 Dicembre 2025 alle 12:56
    • Rispondi

    Il nostro ministro dell’ agricoltura è andato in Egitto per promuovere campagna amica.
    Le bugie sono dappertutto, la verità è: abbiamo ceduto le nostra capacità produttiva ad un mercato estero usando le nostre piattaforme.

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